L'ORDINARIO

Quaderno di appunti fotografici

A OCCHI APERTI – MARIO CALABRESI

A OCCHI APERTI – MARIO CALABRESI

21 Maggio 2017

Terzo articolo, terzo libro. Questa volta voglio iniziare dalle conclusioni: leggetelo! Non ho ancora una top ten personale dei libri fotografici ma, nel momento in cui la farò, "A occhi aperti" ricadrà sicuramente nelle prime cinque posizioni.

Le foto possono raccontare la storia? Mario Calabresi ne è convinto; in cinque anni ha raccolto le interviste di dieci fotografi internazionali. Un tuffo nel passato attraverso le immagini e le parole dei testimoni d'eccezione che l'hanno immortalato. Gli occhi aperti dei fotoreporter che hanno creato la nostra memoria. Cosa era successo un attimo prima e un attimo dopo il momento in cui il fotografo aveva premuto il bottone di scatto? E' questo che Calabresi voleva sapere dai suoi intervistati, incontrandoli uno per uno in diverse parti del mondo: Steve McCurry, Josef Koudelka, Don McCullin, Elliott Erwitt, Paul Fusco, Alex Webb, Gabriele Basilico, Abbas, Paolo Pellegrin, Sebastião Salgado. L'idea di fare un libro sulla fotografia, cercando e chiedendo direttamente ai fotografi cosa ci fosse dietro le loro immagini, è nata dallo scatto che Alex Webb - fotografo americano - fece nel 1979 al confine Messico-Stati Uniti, tra San Diego e Tijuana. Una foto quasi sospesa come dice Calabresi.

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Alex Webb - San Ysidro, California, 1979

Anch’io, riguardandola, racconta Webb, la immagino silenziosa, non ho ricordo di rumori, anche se sicuramente si saranno sentite le pale dell’elicottero. Mi ricordo solo di essere corso nell’erba e di avere scattato prima che venissero portati via. Vennero caricati su una macchina che era poco più in là. Guarda le facce dei due messicani, sembra che ci sia rassegnazione, quasi che fosse un destino scritto, ma non c’è paura e poi c’è anche una specie di delicatezza nei movimenti degli agenti. E guarda la mano del ragazzo, sembra quasi sfiorare l’elicottero. Non sembra un arresto violento. E’ un’immagine tipica di quegli anni, che oggi non esiste più.

Veniamo così coinvolti nei racconti di quei momenti in cui la storia si è fermata in una foto. Dalla carovana del treno con il feretro di Kennedy di Paul Fusco alla primavera praghese di Josef Koudelka, dalla Beirut di Basilico all’Iran di Abbas, dall’America di Erwitt al coraggio di Pellegrin. Lo si potrebbe classificare come un libro di giornalismo oltre che fotografico. In un’intervista l'autore afferma come il fotografo non possa dire di essere in un posto se non lo è davvero e il buon giornalista fa lo stesso mestiere. Il buon giornalista racconta le bombe perché sta sotto le bombe, racconta una carestia perché sta in mezzo alla gente che non ha niente da mangiare. Un esempio dei particolari che si possono scoprire leggendo il libro è quello relativo alla foto di Elliott Erwitt che ritrae Jacqueline Kennedy in lacrime al funerale del marito. Si tratta di una foto straordinaria, in riferimento alla quale il fotografo mette l’accento su come sia cambiato il mondo e il senso del pudore: c’è una lacrima che scende sotto la veletta che le copre il viso, e all’epoca i giornali cancellarono quella goccia, come se la vedova di un presidente non potesse piangere, sembrava un’entrata nella sfera dell’intimo che non poteva essere permessa.

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Elliot Erwitt - Arlington, Virginia, 25 Novembre 1963

Potrei continuare con tanti altri esempi, ma lascio a voi il piacere di scoprirli.