L'ORDINARIO

Quaderno di appunti fotografici

Capire una fotografia - John Berger

Capire una fotografia - John Berger

31 Ottobre 2017

Cominci a leggere un libro, vai avanti, dopo una decina di pagine ti vien voglia di prendere una matita (si, una matita! Non ho mai sopportato la penna sul libro), torni indietro, rileggi, ti soffermi, sottolinei.

E’ quello che succede quando decidi di addentrarti nella lettura degli scritti di John Berger.

Un cammino lungo cinquant’anni quello racchiuso tra le pagine di questo saggio. Un’altra perla della collana “In parole” edita da Contrasto.

Venticinque testi, venticinque critiche, venticinque riflessioni, perché di questo si tratta: riflessioni che accompagnano in un viaggio che va ben oltre la fotografia di riferimento. Varcando determinati confini, partendo da sensazioni, elabora teorie e le intreccia con la propria visione, con le esperienze personali o generali.

Una fotografia, pur ricordando ciò che è stato visto, rimanda sempre e per sua natura a ciò che non si vede. Isola, preserva e presenta un istante sottratto a un continuum.

Già dal primo testo (1967) Berger, soffermandosi sulla celebre foto del cadavere di Che Guevara (paragonandolo al “Lamento sul Cristo morto” di Mantegna), ti costringe a riflettere su quanto uno scatto possa essere importante, su cosa ci sia dietro quella scelta e il messaggio che si vuole trasmettere.

La fotografia del 10 ottobre aveva lo scopo di mettere fine a una leggenda. Può darsi però che su molte persone che l’hanno vista abbia avuto un effetto assai diverso. Qual è il suo significato? Cosa significa oggi, con precisione e senza equivoci?

Molto interessante è poi l’analisi sul lavoro di Paul Strand, sul suo approccio sociale alla realtà, definendolo neo-realista, accostando la sua figura a quella di De Sica o Rossellini.

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Paul Strand, Mr Bennett, Vermont, 1944

Nei suoi viaggi Strand evita il pittoresco, il panoramico, e cerca di trovare la città in una strada, il modo di vivere di una nazione in un angolo di cucina.

Trasforma i suoi soggetti in narratori.

E così passando per August Sander, Henri Cartier-Bresson, Martine Franck, Jitka Hanzlová, André Kertész, W. Eugene Smith, Chris Killip si viene introdotti alla vita dei soggetti fotografati, dalla banda di paese all’ussaro rosso, dal pellegrino addormentato ai trackers israeliani, dagli amanti alla famiglia inglese.

In “L’abito e la fotografia” Berger esaminando una serie di ritratti di August Sander (“Uomini del ventesimo secolo”) procede ad una analisi, a mio avviso stimolante, legata al rapporto tra abiti e classe sociale di chi li indossa.

Dalla fotografia di tre giovani contadini (1914) diretti a una festa da ballo con abiti borghesi: Questa immagine ci fornisce tante informazioni quante se ne possono trovare nelle pagine di un maestro della descrizione come Zola. Poi, ancora, osserva: questa foto è un esempio minimo, ma molto efficace (forse l’esempio più efficace che esista), di ciò che Gramsci chiamava egemonia di classe.

E’ necessario guardare oltre: I contadini furono persuasi a scegliere questo nuovo tipo di abito. Dalla pubblicità. Dalle fotografie. Dai nuovi mezzi di comunicazione di massa. Proprio l’accettazione di quegli standard… li condannò, in quel sistema normativo, a essere sempre e in modo riconoscibile per le classi superiori, mediocri, goffi, ordinari, insicuri. Ed è proprio così che si soccombe all’egemonia culturale.

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August Sander, Giovani contadini, 1914

Tanti sarebbero ancora gli esempi e le argomentazioni da cui trarre spunto per avviare una sana e piacevole conversazione sulla fotografia e John Berger, con questi saggi, ne ha posto le basi.

Un libro a tratti non facile, un libro che probabilmente, leggendo il titolo, non ti aspetti. Per questo motivo la sua lettura richiede tempo, calma....e una matita.